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The Debt Problem Is Not Resolved With Inflation

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By Author: Carlo Rezzonico
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L'indebitamento pubblico, dovuto soprattutto ai provvedimenti per soste­nere la congiuntura e ai salva­taggi di aziende industriali e as­sicurative (le banche hanno già restituito in parte notevole quanto hanno ricevuto), ha as­sunto proporzioni allarmanti e tende ad aumentare sempre più. Si prevede che negli Stati Uniti passerà dall'89% del Prodotto interno lordo nel 2009 al 112% nel 2014, in Italia dal 117% al 132% e in Grecia dal 109% al 134%. Se poi si considerassero, come bisognerebbe fare, gli im­pegni fuori bilancio si sarebbe già ora al 600% in America e al 500% nell'Unione europea. Poiché la correzione di questi squilibri mediante riduzione delle spese o mediante inaspri­mento delle imposte viene giu­dicata difficile da attuare, a causa delle resistenze nella so­cietà, un numero crescente di operatori sul mercato moneta­rio e dei capitali considera pro­babile il ricorso a una inflazio­ne elevata, che potrebbe abbas­sare in termini reali il fardello dei debiti. Noto di passaggio che recente­mente il capo economista del Fondo monetario internaziona­le, Olivier ...
... Blanchard, ha consi­gliato alle banche centrali di portare l'obiettivo di inflazione dal 2% al 4%. Pensa che un comportamento del genere per­metterebbe loro di abbassare sensibilmente il costo reale del denaro in caso di crisi e quindi di dare alla congiuntura un ap­poggio più forte. Questa trova­ta (penosa da parte di un alto esponente di una organizzazio­ne alla quale dovrebbe stare a cuore la qualità della moneta), benché non sia stata messa in campo in relazione con l'inde­bitamento degli enti pubblici, è sicuramente gradita a coloro i quali, apertamente o segreta­mente, auspicano una inflazio­ne elevata come comodo stru­mento per risolvere il problema delle cifre rosse statali. Si tratterebbe però di uno stru­mento rischioso. Qualora il rin­caro salisse al 4% e quindi lo svilimento del denaro diventas­se evidentissimo per tutta la po­polazione, questa potrebbe rea­gire improvvisamente e scom­postamente con una fuga in grande stile dalla moneta e con una impennata della domanda di beni reali, i cui prezzi sali­rebbero drasticamente; così l'in­flazione sfuggirebbe di mano.
Per bloccare o anche solo frena­re un rincaro lanciato a veloci­tà sostenuta occorrerebbe una politica monetaria fortemente restrittiva, con tassi di interes­se molto alti, non solo in termi­ni nominali, ma anche in ter­mini reali. A questo punto gli enti pubblici perderebbero sot­toforma di interessi passivi as­sai più di quanto guadagnereb­bero grazie alla svalutazione del capitale.
Inoltre un aumento delle per­centuali di interesse farebbe scendere il valore delle obbliga­zioni emesse attualmente con rendimenti scarsissimi. Nono­stante questa prospettiva molti investitori istituzionali acqui­stano grosse quantità di titoli a reddito fisso. Probabilmente so­no costretti a farlo da disposi­zioni statutarie che, in questo momento, risultano inopportu­ne. Per spiegare la forte doman­da di obbligazioni va conside­rata anche la politica delle ban­che centrali, che mantengono una liquidità enorme sul mer­cato monetario, consentendo al­le banche di procurarsi facil­mente e a basso costo fondi con i quali acquistano titoli statali, anche greci, poiché contano sul fatto che molto probabilmente l'Unione europea non lascerà cadere nell'insolvenza un suo membro: in tal modo avviene in via indiretta il finanziamen­to di un Governo da parte del­le autorità monetarie, nono­stante tutti gli impegni assunti e le affermazioni in senso con­trario proclamate ripetutamen­te da queste.
Da ultimo sia detto che, qualo­ra l'indebitamento degli enti pubblici venisse ridotto in ter­mini reali mediante inflazione, a pagare il conto sarebbero i de­tentori di averi in moneta, che sono generalmente i risparmia­tori piccoli e medi. Davvero ci troveremmo in presenza di una manovra da furfanti.
Carlo Rezzonico
Foto : Olivier Blanchard
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