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It's Coming A Second Phase Of The Crisis?

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By Author: Alfonso Tuor
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Mentre la maggior parte degli analisti finanzia­ri e alcuni istituti di ri­cerca parlano di ripresa econo­mica e sostengono che oramai il peggio è alle nostre spalle, si moltiplicano i segnali che invi­tano alla prudenza e che soprat­tutto indicano un indebolimen­to dei presunti segnali di rilan­cio dell'economia. Ad esempio, venerdì scorso l'Ufficio statisti­co dell'Unione europea ha co­municato che nel 2009 il PIL di Eurolandia si è contratto del 4% rispetto al 2008. Eurostat ha pu­re detto che negli ultimi tre me­si del 2009 l'economia europea è cresciuta dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, ossia ad un ritmo inferiore a quello del terzo trimestre, quando l'economia era cresciuta dello 0,4% rispetto al secondo trime­stre. Analizzando più attenta­mente i dati di Eurostat, si sco­pre anche che l'economia tede­sca ha registrato una crescita zero nel quarto trimestre rispet­to al terzo trimestre, che l'eco­nomia italiana è ripiombata in recessione (con una contrazio­ne del PIL dello 0,2%), che quel­la spagnola non ne è mai usci­ta (-0,1%) ...
... e che quella greca sta addirittura sprofondando (-0,8%). Nemmeno gli indica­tori precursori segnalano bel tempo. Ad esempio l'indice te­desco ZEW è sceso in gennaio per il quinto mese consecutivo e, fatto ancora più importante, i crediti bancari alle piccole e medie imprese europee conti­nuano a diminuire mentre, sempre stando alla Banca cen­trale europea, aumenta in mo­do consistente il numero delle PMI che si vede rifiutare una ri­chiesta di credito. Dunque la ri­presa appare sempre più eva­nescente. In realtà, come soste­niamo da tempo, i piani di sti­molo fiscale e la politica mone­taria fortemente espansiva, se­guita anche in Europa all'indo­mani del fallimento della Leh­man Brothers, hanno avuto il merito di evitare una seconda Grande Depressione e hanno permesso una stabilizzazione dell'attività economica a bassi livelli, ma non sono riusciti a ri­lanciare l'economia. La situazione non muta sostan­zialmente al di là dell'Atlantico. La crescita del PIL americano nel quarto trimestre deve esse­re infatti contestualizzata. Il rialzo del 5,7%, che potrebbe es­sere corretto al ribasso nelle prossime settimane, è dovuto in gran parte alla variazione delle scorte. Escludendo questo fatto­re e utilizzando gli stessi criteri europei di comunicazione dei dati statistici, l'economia ame­ricana è cresciuta nel quarto tri­mestre dell'anno scorso ben più modestamente, ossia dello 0,6%. Inoltre negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione ufficiale ri­mane vicino al 10%, mentre quello reale supera il 16% (stan­do ai dati della stessa ammini­strazione). La settimana lavora­tiva si aggira attorno alle 33 ore. Quindi anche la maggior parte delle persone che hanno anco­ra un lavoro sta percependo uno stipendio inferiore a quello che incassava prima dello scoppio della crisi. Ma se si analizzano ancora più attentamente i dati americani si scoprono problemi che inducono a temere il peggio, a tal punto da considerare la cri­si dei mutui subprime una sem­plice passeggiata. La crisi del set­tore immobiliare è tutt'altro che conclusa. Quest'anno i pignora­menti sono destinati ad aumen­tare, poiché matura la scadenza di una grande quantità di ipote­che (ARM) che prevedevano per i primi due anni il pagamento di tassi fissi e nessun ammorta­mento. Inoltre le grandi banche americane non stanno più ten­tando di ristrutturare le ipote­che, ma stanno cercando di ri­pulire i loro bilanci, spingendo i proprietari a chiudere il debi­to con la vendita della casa ad un prezzo inferiore a quello del­l'ipoteca. Ma c'è di più: la crisi del Commercial real estate (uffi­ci, grandi magazzini, alberghi, ecc.), che è stata finora rinviata attraverso la dilazione delle sca­denze e la trasformazione degli interessi non versati in nuovi de­biti, è prossima allo scoppio. Se­condo un membro del Comita­to direttivo della Federal Reser­ve, quest'anno saranno dichia­rati inesigibili più di 1.400 mi­liardi di dollari di prestiti con­cessi a questo settore.
Non sorprende dunque che stan­no di nuovo manifestandosi sul mercato dei capitali forti timori sulla solvibilità dei creditori. La questione non riguarda unica­mente le obbligazioni dei PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), ma ha varcato l'Atlanti­co e sta colpendo le obbligazio­ni a maggiore rischio. I segnali in questa direzione si moltipli­cano: il più chiaro riguarda la «fuga» degli investitori dalle ob­bligazioni a maggiore rischio e l'allargamento degli spread (os­sia delle differenze) dei tassi di interesse. Questo fenomeno, che sembrava confinato alla crisi di credibilità di alcuni Paesi euro­pei, ha determinato la maggiore fuga di capitali (più di un miliar­do di dollari in una settimana) dai fondi americani che investo­no in titoli ad alto rendimento.
È bene ricordare che questi so­no i segnali precursori, manife­statisi a partire dal primo seme­stre del 2007, della crisi del mer­cato immobiliare americano e dei titoli attraverso i quali erano state rivendute sul mercato le ipoteche americane (e non solo i mutui subprime). In buona so­stanza si ha la percezione che si stiano esaurendo gli effetti degli impressionanti interventi delle banche centrali, i quali erano riusciti a riportare un po' di cal­ma sui mercati dei capitali. Le continue iniezioni di liquidità e la stampa di grandi quantità di moneta erano riuscite a riapri­re l'accesso ai finanziamenti sui mercati alle società, anche con rating non elevati, e avevano prodotto una riduzione della dif­ferenza dei tassi di queste obbli­gazioni rispetto a quelle dei mi­gliori creditori. Questa norma­lizzazione, indubbiamente il maggior successo delle banche centrali, sembra agli sgoccioli. Le tensioni che cominciano ad avvertirsi segnalano che si sta ri­ducendo la capacità dei merca­ti di assorbire nuove dichiara­zioni di insolvenza. Quindi, tut­to, dalle paure sui titoli del de­bito greco alle difficoltà delle banche nel disfarsi dei titoli tos­sici ancora nascosti nelle pieghe dei bilanci, lascia pensare che come era successo nel 2007 si stiano preparando le condizio­ni per una nuova forte eruzione di questa crisi che non è mai ter­minata.
Alfonso Tuor
Foto : grafico rapporto Mutui/Pil

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